Итальянский с любовью. Осада Флоренции / L'assedio di Firenze
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Il due di agosto riprese l’esercito fiorentino il sentiero per le aspre giogaie di quei monti, ed affrettando, quanto meglio poteva, il passo, arriv`o a notte fitta in Calamecca, castello della montagna pistoiese, di fazione cancelliera. Ferruccio considerata la stanchezza de’ suoi e il bisogno di averli ben validi nello scontro, che aspettava imminente, dell’esercito nemico, ordin`o nuova posa.
Percorsa l’alba del giorno tre di agosto, che fu festa di santo Stefano, l’esercito della Repubblica continua la via. L’avantiguardia fiorentina, scesa in fondo della valle, pieg`o alla volta di San Marcello, l`a dove anche ai giorni nostri occorre una cappella di pietra grigia dedicata alla Vergine, posta lungo la strada che da Pistoia conduce a Modena. I terrazzani non conobbero il pericolo prima che sel vedessero irreparabilmente caduto addosso; la nebbia fitta imped`i loro pensassero ai ripari. Irruppe pertanto nel castello la piena dei nemici: ben s’ingegnarono chiudere le porte della Fornace e del Poggiuolo, ma non poterono; chiusero quella del Borgo, e a nulla valse, imperciocch`i gli assalitori accatastandovi davanti copia di legna suscitassero tale un incendio di cui anche ai tempi presenti occorrono vestigi. Dopo quel caso mutarono nome alla porta, e di porta del Borgo lo chiamarono porta Arsa, che tuttavia le dura. Il Ferruccio, ignaro che sopra il suo capo si era commessa tanto nefanda tragedia, co’ principali dell’esercito si ferma nelle stanze terrene della casa del trucidato Mezzalancia.
Il cielo presago della sventura che stava per avvenire incup`i maggiormente la sua faccia, di grigio divent`o nero e parve assumere gramaglie pel prossimo lutto. La pioggia dirotta allaga d’improvviso la terra.
Per altra parte il principe di Orange, pervenuto il due agosto a Pistoia, vi si ferm`o tutta la giornata attendendo ad ascoltare gli esploratori e spedire di ora in ora ordini e messi a Fabrizio Maramaldo e ad Alessandro Vitelli, affinch'e si stringessero alle spalle del Ferruccio senza lasciargli campo a ritirarsi; la qual cosa gli sembr`o avere molto bene conseguita quando gli fu riportato che il capitano Cuviero con gli Spagnuoli ribelli di Altopascio, chiesto ed ottenuto perdono, si era congiunto con lui, e che Nicol`o Bracciolino con mille armati di parte panciatica lo sosteneva e guidava. A ora di vespro, il principe, salito in cima del campanile del duomo, domand`o ai cittadini pistoiesi che lo circondavano gl’indicassero la strada da tenersi fra i monti; della qual cosa, secondo che i ricordi dei tempi ci fanno fede, fu pienamente istruito da Bastiano Brunozzi. Appressandosi la sera, dietro la scorta di Bastiano Chiti, uomo pratico del paese, si pose in via e camminando tutta la notte si condusse la mattina sotto i Lagoni, luogo quasi ugualmente distante da Gavinana e Pistoia, e si accamp`o in certo piano tutto ingombro di castagni che torna sopra a San Momm`i, ricoperto dal poggio che riguarda Pontepetri e le Panche, adattissimo alle insidie e tale da sorprendere senza essere scoperto il Ferruccio, quando si fosse inoltrato, per la strada ch’egli disegnava tenere. Mentre l’Orange, in questo luogo fermando l’esercito, attendeva a riconfortare gli spiriti, ecco arrivare affannoso da capo alle piante contaminato di fango un sacerdote; dalla paura turbato e dalla agonia della vendetta, trafelato di stanchezza, non trovava parole intiere; si aiutava col gesto n'e giungeva a farsi intendere meglio; lo consigliarono a riprendere lena, lo ristorarono con vino generoso, sicch`i, tornatogli l’animo, cominci`o a dire: “Ferruccio, si trova a San Marcello; la terra ormai `i stata ridotta in cenere, i popoli sepolti nelle rovine… io, per la grazia di Dio appena salvo, ho veduto con questi miei occhi trucidata tutta la mia famiglia; a che tardate? Muovetevi, se volete sorprendere il nemico come dentro una fossa”. Di ci`o tanto opportunamente avvertito l’Orange dispose muoversi, molto pi`u che conobbe a prova il breve riposo dopo la notte perduta sgagliardire piuttosto che afforzare il corpo; per lo che, recatosi in mezzo all’esercito accompagnato dai principali capitani, sal`i sopra un monticello e con lieto sembiante rivolto ai soldati disse loro: “Soldati, si avvicina il termine dei comuni nostri fastidi. Vinta questa battaglia, torneremo a casa onorati ed anche doviziosi. Il papa, come uomo che si fida poco di voi e meno di me, non vuol pagarci, se prima non vinciamo. Vinciamo dunque; se non per volere, mostriamoci eroi per necessit`a. Della vittoria sarebbe piuttosto follia disperare che sperare baldanza. In ci`o mi affida la prodezza vostra in tante venture provata, la dappocaggine dei Fiorentini…”
I soldati di Orange si spingessero innanzi e facessero ogni sforzo di entrare in Gavinana prima del Ferruccio. Affrettando il passo, i cavalleggeri imperiali si accostano a Gavinana e ricercano i terrazzani aprissero le porte a nome dell’imperatore e del papa.
I principali del castello, recatisi sul ballatoio di porta Piovana, rispondono alla intimazione: aprirebbero volentieri, purch'e avessero fede che sarebbero lor salve le sostanze e le vite. I capitani dei cavalleggeri soggiungono; “Aprite tosto; di ci`o vi malleviamo sotto parola del principe Filiberto di Orange capitano cesareo, che di poco tratto ci seguita.”
E i terrazzani da capo: “Di voi punto non ci fidiamo; aspettate che venga il principe, e quando lui proprio ci assicuri, vi apriremo le porte; n'e l’esitanza nostra deve adontarvi, imperciocch'e essendo Gavinana ab antiquo di parte cancelliera, e occorrendoci tra voi non pochi panciatici, crudelissimi nemici nostri, meno di voi sospettiamo che di loro”.
Tutte queste parole mettevano innanzi i Gavinanesi non per voglia che avessero di arrendersi, ma per dar tempo di arrivare al Ferruccio, a cui avevano mandato celerissimi messi, ed ora, per sempre pi`u affrettarlo, si posero a suonare furiosamente le campane a martello. I messi di Gavinana incontrano il Ferruccio nella casa del Mezzalancia.
“Affrettate i passi, per Dio! messere lo commessario; Gavinana appena si tiene, tanto l’assalgono grossi i nemici d’intorno; ma per poco che tardiate, voi troverete un mucchio di rovine. Il principe d’Orange in persona comanda all’esercito”.
“Maledetta sia la paura che vi fa vedere dappertutto il principe di Orange come se fosse il trentadiavoli e la versiera! Vi pare che lui avrebbe voluto o potuto abbandonare il campo sotto Firenze?”
“Io vi giuro pel corpo di Cristo, messere Ferruccio, che Orange vi sta incontro; molti dei vostri lo hanno veduto”.
Allora il Ferruccio trasse un sospiro e tra i denti mormor`o: “Ahi! traditore Malatesta!”
Uscito all’aperto, il Ferruccio di slancio salt`o in sella al suo buon cavallo e, levatosi l’elmo di testa, all’esercito, che gli stava schierato davanti come in anfiteatro, rivolse queste nobilissime parole, conservateci da Bernardo Segni al quarto libro delle sue Storie:
“So per esperienza, soldati fortissimi, che le parole non aggiungono gagliardia nei cuori generosi, ma s`i bene che quella virt`u che vi `e dentro rinchiusa, allora si mostra pi`u viva che l’occasione o la necessit`a la costringe a far prova di s'e. Siamo in termine dove l’una e l’altra cosa ci si apparecchia per fare al mondo pi`u chiara e pi`u bella la costanza e la fortezza degli animi nostri; l’occasione vedete bellissima e sopra ogni altra onoratissima che ci si mostra difendendo con giusto petto l’onore delle armi italiane e la libert`a della nobilissima patria nostra, per farvi risplendere per tutti i secoli di chiara luce; la necessit`a ci `i presente e davanti agli occhi, che ci fa certi che ritirandoci saremmo raggiunti dalla cavalleria nemica, e che stando fermi non avremmo luogo forte da poter difenderci n'e vettovaglia da poter vivere, quando bene prima entrassimo in quelle mura. Restaci adunque solo una speranza, e questa `i la disperazione di ogni altro soccorso infuorch`i di quello che dalla virt`u delle vostre destre infino a questo giorno state invittissime e dal vostro animoso spirito procede. Questo ci far`a in ogni modo vincere; n'e, bench'e siamo meno per numero, ci dobbiamo diffidare, per la speranza, oltre a quella della virt`u vostra, maggiormente in Dio ottimo massimo; che, giustissimo e conoscitore del nostro buon fine, supplir`a con la sua potenza dove mancasse la forza nostra”.
E ricopertosi il capo, con feroce sembianza brandita la spada, riprese:
“Soldati, non mi vogliate abbandonare in questo giorno”.
I cavalieri imperiali, sospettando ormai la malizia dei Gavinanesi e gi`a vedendo apparire le insegne fiorentine, non si tennero pi`u in freno, ma, trascorrendo a mano diritta lungo le mura di Gavinana, si fecero animosamente ad incontrare il nemico.
Nessuno vinceva, e si distruggevano tutti. Alcuni cavalieri fiorentini, o trasportati dall’estro della strage, o sia piuttosto, come crediamo, desiderosi col sacrificio delle proprie persone assicurare la salute della patria, scorgendo un calle su per la costa del monte, vi salirono a stento, e quando furono giunti a conveniente altezza, gridarono: “Viva la Repubblica!” – poi spinsero gi`u alla dirotta i cavalli, cacciando loro nel ventre intieri gli sproni. Quando loro percossero i fianchi dei nemici, alcuni dei nostri rimbalzati dall’urto oltrepassarono volando sopra di loro e andarono capovolti ad incontrare la morte gi`u nel dirupo; altri caddero infranti tra le zampe dei cavalli: nondimeno cos`i irresistibile fu l’impeto che la schiera si ruppe, e con eccidio miserabile ben molti tennero dietro nel precipizio ai nostri che tanto nobilmente si erano sagrificati. Allora crebbe il cuore ai Forentini: i capitani sopra gli altri volevano essere, siccome maggiori nel comando, cos`i primi nel pericolo; sorse stupenda una gara di affrontare la morte; incalzano i Ferrucciani, piegano gli Orangeschi; indi a poco i cavalli, trovando dietro a s'e bastevole spazio, si volgono e si danno alla fuga.
“Vittoria! vittoria!” con immense strida gridavano i soldati del Ferruccio, respinti i nemici e dispersi per la campagna, rientrando nelle mura di Gavinana. I terrazzani dai balconi, dai tetti plaudivano battendo palma a palma e sventolando candidi pannilini. Le campane sonavano a gloria.
“Vittoria! vittoria!” rispondono i cavalleggeri fuori delle mura, i quali a posta loro, ributtati i cesarei, occupavano il piano delle Vergini. Dappertutto allegrezza. Il cielo stesso placato lasciava aperto tra le sue nuvole un adito al raggio del sole, l’ultimo che salutasse il gonfalone della Repubblica Fiorentina.
E il prode Ferruccio, palpitante, bagnato di sangue nemico e de’ suoi si appoggia all’asta della lancia sotto il magnifico castagno che sorgeva sopra la piazza della Gavinana. I suoi occhi stanno rivolti al firmamento porgendo col cuore grazie fervidissime a Dio; non lo poteva con le labbra, ch'e lo impediva l’affanno.
…La battaglia si continua; il Ferruccio respinge dalla Gavinana il nemico, lo disperde per la campagna, e dubbioso sia per tornargli addosso da capo, non si ferma finch`i vede persona davanti a s`i; allora fece sosta, ed accorgendosi che la punta della stradiotta per lo spesso ferire erasi storta, si chin`o e raccolse da terra uno spadone a due mani di quelli che usavano i lanzichenecchi; poi, ordinati i superstiti a chiocciola, s’incammina al castello in soccorso di quelli che vi aveva lasciato. Le torme dei cesarei intanto si erano chiuse dentro di lui e avevano invaso tutte le strade della Gavinana: i suoi ben tuttavia vi stavano dentro, ma diventati cadaveri. In quel momento il Ferruccio alz`o la voce e chiam`o a nome i suoi pi`u valorosi compagni; nessuno gli risponde; la morte aveva loro resa inerte la lingua.
Ora, mentre la sua anima pensando al fato di tanti prodi sospira, due grosse bande di nemici, imbaldanziti dalla vittoria e disposti ad abusarne quanto pi`u furono immeritevoli di conseguirla, con minacce barbariche gl’intimano da lontano la resa.
Giampagolo Orsino, ormai disperato, si accosta al Ferruccio e gli domanda:
“Signor commessario, vogliamo noi arrenderci?”
“No”, – gli risponde con forza il Ferruccio; e piegata secondo il suo costume la testa, si avventa primo contro i sorvegnenti imperiali.