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Итальянский с любовью. Осада Флоренции / L'assedio di Firenze

Гверрацци Франческо Доменико

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“Amen!” risposero i circostanti.

“Per`o tra morire e vivere da schiavo”, – continuava il padre di Annalena, – “la differenza `e questa: i morti non sentono nulla, i vivi si consumano sotto il peso delle catene. Lena mia, ti faccio manifesto il mio testamento alla presenza di questi valenti uomini; dove il leone coronato rimanga insegna della Repubblica, tu vivi, prova gli affetti di sposa, le santissime cure di madre; se le palle trionfano… eccoti… prendi questo coltello… comunque corto sia, pu`o sciogliere un’anima dai legami del corpo”.

Capitolo Ottavo

Giovanni Bandino

Poco oltre a mano destra del principe di Orange [12] , immobile come pietra, sta Giovanni Bandino; tiene il volto e gli sguardi tesi verso Firenze. Dalla fronte pallida gli piovono grosse gocce di sudore; paiono lacrime piante sopra di lui da occhi invisibili: trema forte e non dice parola. In campo lo spregiavano e temevano; ma lui fuggendo ogni umano consorzio non dava luogo alle offese: quando negli scontri di guerra vedeva i soldati bestialmente inferocire e farsi ciechi per ira, lui, scoperto di ogni arme difensiva, si cacciava l`a dove i colpi e gli uomini cadevano pi`u spesso. All’assalto di Spelle seguit`o impassibile fin sotto il muro gli assalitori; fischiavano le palle intorno al suo capo, rovinarono corpi di uccisi o sconciamente mutilati, e pareva che lui non vedesse e non ascoltasse nulla; quando un colpo di sagro percotendo a mezzo il petto Giovanni da Urbino, tra quanti erano prodi nello esercito, valorosissimo, lo balestr`o sfracellato ai suoi piedi, lui allora proruppe in altissime risa e balz`o al posto dove rimase ucciso l’infelice guerriero; a tutti sembr`o il demonio della strage: non perdonava a cui implorasse quartiere, o a chi resistesse; dal capo alle piante spesso appariva sordidato di sangue del nemico senza che pure una scalfittura ne versasse del suo. Gli Spagnoli, secondo l’indole loro superstiziosi, sospettavano che fosse ciurmato, ma poi, sapendolo uomo del papa si ricredevano, in seguito nel sospetto si confermavano. Dovunque mostra la faccia cessano i colloqui, la gente si apre in due file per lasciarlo passare, assalita da misterioso ribrezzo. Immemore dei circostanti, lunga pezza il Bandino dimor`o nello stato di fissazione di che scriveva poc’anzi; all’improvviso, stendendo ambe le braccia, con voce angosciosa prorompe: “O patria mia!”

12

Filiberto di Ch^alons (1502–1530) – un condottiero francese, nonch'e principe d’Orange e vicer'e di Napoli dal 1528 al 3 agosto 1530

Quando monsignore di Orange aveva udito quell’esclamazione, pose la mano sopra la spalla sinistra lo interrogando cos`i: “E perch'e dunque tra i nemici di lei?…”

Si riscuote il Bandino, guata bieco l’Orange e brontolando fugge via a precipizio.

“Ditemi, principe”, – soggiunse poi il Bandino arrestandogli per le redini il cavallo, – “in conto di che mi avete voi?”

“Ma… nel conto che mi avreste me, se io fossi voi”.

“Principe, per favore parlatemi apertamente, in qual concetto mi tenete?”

“Fiorentino movete ai danni di Firenze… di uomo siffatto pu`o essere mai dubbiosa la fama?”

“Ah! certo il nome ch’ei merita `i un solo per tutto il mondo”, – favella in suono sconsolato il Bandino lasciando le redini del cavallo…

“Noi altri Italiani c’innamoriamo in chiesa. Rammento il giorno e il luogo in che lei primamente mi comparve dinanzi”, – continua il Bandino senza rispondere alle parole del principe, fisso com’era nel suo pensiero, – “per la festa di san Zanobi in santa Maria del Fiore, l`a presso alla parete dov’`e sospeso il simulacro del divino poeta, i nostri occhi s’incontrarono insieme; parve che i miei sguardi la infiammassero, Perch'e lei si fece accesa nel volto, come le vampe di fuoco le ardessero davanti, e abbass`o il velo: poco importa; ormai la sua immagine mi stava incisa nel cuore; dovunque guardassi io la vedevo; e quando lei si part`i dalla chiesa, io non rimossi mai gli sguardi dal luogo che lei tenne occupato; gli uffici divini cessarono, tacquero gli organi, spensero le cere, ed io per sempre mi rimanevo immobile credendo tuttavia di vederla. Secondo il costume dei giovani cominciai a passare sovente sotto alle sue finestre; presi dimestichezza con gli artefici vicini per avere onesto motivo di trattenermi nella contrada; nella notte o sul mattino, accompagnandomi sul liuto, le cantai sotto il balcone dolcissimi versi d’amore; praticai insomma quello che costumano le persone quando le scalda il petto l’ardente fuoco della passione e loro non sanno che fare solo che manifestarlo alla donna amata. Con quanta speranza io mi muovevo da casa, e come avvilito ci rientravo! Nessun cenno apparve alle finestre mai; mai vidi sporgere un capo il quale indicasse intendere all’amoroso lamento; io conducevo tristissimi giorni disperato della vita.

Venisse l’istante nel quale la fanciulla, vinto il pudore verginale, mi confessava: “Io ti amo… Io vi giuro, monsignore… in che vi giurer`o io? Non conosco pi`u nulla di sacro nella terra o nel cielo.”

L’altra notte un famiglio mi conduce verso il palazzo della mia donna. Mi vidi al capezzale il padre della donna, il quale con volto benigno, mi disse: “Attendete a ristorarvi e preparatevi ad ascoltarmi; quello che il cielo vuole forza `e che uomo anche voglia!” Lo rividi verso sera, ed accostatosi quanto pi`u presso poteva al mio volto, “Figliuol mio, – cominciava, – poich`i umano argomento non vince l’amore che la mia figlia porta per te, e poich'e vedo a prova manifesta come anche tu ardentissimamente l’ami, e il contristarvi le nozze sarebbe certa ragione della morte di entrambi, a Dio non piaccia che in questa mia vecchia et`a prossimo a rendere conto della mia vita all’Eterno, contro al mio sangue mi renda micidiale. La tua stirpe `e gentile, i tuoi costumi onesti: una sola cosa mi offende in te, e non `e tua colpa, voglio dire il difetto dei beni di fortuna, ci`o mi trattenne fin qui dal consentire che tu tolga in moglie la mia figliuola Maria: tu saprai un giorno quanto piaccia al cuore del padre allogare i figliuoli in famiglie pi`u potenti della sua e quanto all’opposto rincresca scemare; per`o siete giovani entrambi, che tu non mi sembri toccare il diciottesimo anno, e la fanciulla appena ne conta quindici: la fortuna, come donna, ama i giovani; viviamo in tempi nei quali riesce di leggeri, a cui vuole davvero, metter insieme denari; sopra tutte le parti del mondo vedo prosperare i nostri mercadanti in Spagna, fuori di misura doviziosa per l’oro che a lei manda l’India non ha guari scoperte. Io ti prometto la figlia: fidanzatevi, ve lo concedo: poi su questa croce giurami che te ne andrai a procacciare tua ventura in Spagna per tornare presto a condurre donna e statuire famiglia con lo splendore conveniente alla stirpe donde esci e a quella a cui la tua moglie appartiene.” – Promisi e con pieno cuore; – che cosa non avrei promesso? Restituito alla vita, rigoglioso di giovanezza, felice per potere consumare i miei giorni al fianco della donna amata e dirle: “Io ti amo”, e sentirla rispondere: “Ed io pure ti amo”; parole mille volte ripetute e mille volte ascoltate con dolcezza ineffabile… miracolo nuovo di amore!

La fortuna, per flagellarmi meglio, spir`o un fiato favorevole nelle vele; partii, giunsi e arrivai a Cadice e a Siviglia, dove impresi traffici smisurati: nei traffici rovina agli altri, io crescevo; i pazzi consigli miei riuscivano meglio dei savi provvedimenti altrui; apparvi oracolo, e fui soltanto avventuroso; la turba m’invidiava, mi applaudiva e adulava.

Due anni passati, torn`o a Firenze. E come forte mi trem`o il cuore quando prima scopersi da lontano la cupola della basilica nostra! se avessi avuto le ali non mi sarebbe sembrato di affrettarmi a mia voglia: pur giungo e difilato mi avvio alla casa paterna; la mano mi manca per bussare alla porta, altri bussano per me, si apre, chi mi apriva non guardo, corro, corro in traccia di mio padre; la casa `i vuota!.... Rifaccio i passi, e vedo il vecchio genitore genuflesso davanti un Crocifisso, e ascolto tra i singhiozzi pregare riposo all’anima mia.... “Sono io morto, perch'e mi diciate il requiem?” – esclam`o maravigliato; e il padre piange e pi`u che mai si raccomanda: mi accosto, ei trema e non ardisce guardarmi. “Anima benedetta, lui diceva con stupenda prestezza, anima benedetta, va in pace, io spender`o in suffragarti l’ultima mia masserizia… Va in pace”. Tornate le persuasioni invano, mi vinse lo sdegno, mi dolsi del modo col quale mi accoglieva, minacciai andarmene tanto lontano che mai pi`u avrebbe riveduto la mia faccia, di poco amore lo rampognai. Lui sorse allora tra stupido e spaventato, e: “Tu vivi?” – mi domanda con parole interrotte… Mi tocca… mi bacia… e quando il suo dubbio fu tutto spento, crudeli! crudeli! esclama e mi cade semivivo tra le braccia. Qual io rimanessi non saprei raccontarvi con discorso convenevole.

Lui rivenne tosto, e io ansiosamente gli domandai: “Chi `e questo, padre? e la donna mia?” – “La donna tua? Vieni a vedere la tua donna”, – e con impeto giovanile mi trasse fuori di casa.

Giungiamo alle porte di Santa Maria del Fiore; l`i incontrammo fanti e donzelle, i quali tenevano per le redini in copia palafreni; entriamo in chiesa, la pi`u parte sepolta in profondissima oscurit`a; andiamo avanti, e pervenuti al punto della nave dove sospeso alla parete si ammira il simulacro di Dante, coronata con la ghirlanda nuziale, con lo sposo al fianco, blandita da gioconda comitiva, ritorna da legare la sua fede eternalmente ad un uomo dal pi`e degli altari una donna, e questa donna `e la mia!… Empii di un grido orribile le volte del santuario e, stretto il pugnale, mi precipitai a trucidare la spergiura; mutati appena due passi, il ghiaccio di un ferro mi penetra nelle viscere, e precipito avvolgendomi nel mio sangue sul pavimento. Non piacque all’inferno ch’io mi morissi: udite stupenda nequizia umana! Aperti gli occhi, mi trovo giacente sopra miserabile pagliericcio, dentro una stanza vuota, le mani e i piedi stretti da funi… non mi rinveniva, cercava con la mente n`i giungeva a indovinare in qual luogo mi avessero condotto e perch'e cos`i legato. All’improvviso mi spaventa uno schiamazzo confuso di minacce, di percosse, di pianto, di preghiere e di risa; e sopra tutte queste voci tempestare un urlo che diceva: “Chiudete le porte, san Pietro!” – “san Paolo, di grazia, a che tenete quello spadone ai fianchi?” – “Ora dov’`i andato l’arcangelo Michele?” – “I demoni danno l’assalto al paradiso.... e’ l’hanno preso”, – “l’hanno preso,” – “scomunicati!” – “eretici!” – “cos`i bussate il Padre Eterno? poveraccio!” Mi accorsi che mi avevano condotto all’ospedale dei pazzi.

Un giorno corsi dall’ospedale; poich`i ebbi corsa lunga ora non pensando a nient’altro che a fuggire, incominciai a divisare dove procurarmi un asilo, come sottrarmi alle persecuzioni dei miei feroci nemici; pericoloso mi parve, ed era, ridurmi alla casa paterna, ma anelando conoscere come il caso avvenisse, col`a appunto mi condussi; – oscurit`a e silenzio; – chiamo, busso, torno a chiamare, e sempre invano; tolto di speranza da questa parte, il cuore mi augurando sinistramente, ma pur non sapendo qual male temere, mi venne in pensiero il castaldo che abitava certe casette di nostro alla estremit`a della via; – lo trovai con la famiglia prostrato a terra, perch'e le campane avevano suonato l’ora prima di notte, a recitare il De profundis per le anime dei defunti: siccome inosservato io penetravo l`a dentro, udii pregare pace all’anima mia e a quella di mio padre. “Sarebbe lui morto?” esclamai con immenso dolore. Immaginate voi lo spavento prima, poi la meraviglia e la esultanza di quei buoni, – i soli che mi siano occorsi nella vita. Il mio povero padre era morto pur troppo! Alle persecuzioni e all’odio del malvagio, che pei rimorsi riarde pi`u feroce, soccombeva i miei nemici con le proprie mani avendomi distrutto, con le proprie mie mani io mi ero deliberato distruggerli; dente per dente, pelle per pelle, come insegna Mois`e; presi nella destra il pugnale, nella manca un pugno della terra che l’ossa ricopriva di mio padre e giurai vendicarmi… di vendetta italiana… Aspettate e vedrete come sapr`o vendicarla.

“E per colpa di un solo volete sommersa la barca? A parere mio, io vi terrei meno triste, se uccideste i vostri nemici a tradimento. Per odio privato voi condannate a morte l’antica repubblica di Firenze”.

“Che significa repubblica? E’ una parola di largo contorno e che dentro di s`i comprende libert`a da comizio e tirannide d’inquisitori di stato. Il governo dove impunemente si commettono misfatti quali soffersi io non pu`o dirsi libero, e tale invero non fu mai il nostro; e poi io sacrifico volentieri la libert`a passaggiera alla forza perenne, madre vera di durevole libert`a. Messere, voi pensate avere gettato un germe nel mio cuore, ed lui ha gi`a partorito da parecchio tempo il suo frutto; non pertanto grazie vi siano della proposta. Aiutatemi: quello che non fecero i cinque e i dieci anni, lo faranno i venti; le piaghe del vostro cuore saranno sanate; vi confidi il futuro. Voi mio maestro e mio duca dovete vivere, amare e governare”.

“Camminate la vostra via. Non vi trattenete a guardare i miei fati, io vi sovverr`o come e dovunque possa, ma non per vivere; se avessi intenzione di durare nella vita, il Bandino non conosce signore degno della sua servit`u, tranne uno solo, e questi `e il Bandino”.

Capitolo Nono

Michelangelo Buonarroti

Dante da Castiglione era giunto ai bastioni di San Miniato con mirabile arte condotti per industria del divino Michelangelo. Quantunque il Varchi [13] ci narri nel decimo libro delle sue Storie essere stati biasimati da alcuni perch'e fatti con troppi fianchi, le cannoniere troppo spesse, per le quali venivano a indebolirsi, e troppo ancora sottili da non potere reggere l’urto delle grosse artiglierie, nondimeno furono tenuti non solo per questi tempi stupendi, ma in epoca pi`u recente meritarono che Vauban, celebrato ingegnere francese, ne levasse la pianta e ne prendesse le misure. Questi bastioni cominciavano fuori della porta San Francesco, e salendo su per il monte circuivano l’orto, il convento e la chiesa di San Miniato; cos`i descritto un larghissimo ovato si ricongiungevano alla porta San Francesco. Nell’orto di San Miniato era alzato un fortissimo cavaliere che guardava il Gallo e Giramontino. Ancora poco sotto del convento di San Francesco fu fatto un altro bastione, il quale con le sue cortine scendeva gi`u da oriente fino al borgo di Porta San Nicol`o e terminava con alcune bombardiere poste sopra Arno: altri bastioni e puntoni e cavalieri costruirono che non importa descrivere, armati di grossi panconi di quercia, ripieni dentro di terra e di stipa, di fuori fasciati con mattoni crudi composti di terra pesta mescolata con capecchio trito.

13

Benedetto Varchi (1503–1565) – un umanista, scrittore e storico italiano

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