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Итальянский с любовью. Осада Флоренции / L'assedio di Firenze

Гверрацци Франческо Доменико

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La vecchia madonna declin`o il braccio e sciolse un sospiro; poi strinse in amplesso amorosissimo il Morticino esclamando:

“Sangue superbo – e figliuol mio! tu sei la mia consolazione… Aspetta… Prendi questo scrignetto, Giovanfrancesco; io gli aveva serbati per qualche estremo bisogno della vita… spero che basteranno; or volgono forse cinquanta anni che non gli ho annoverati, quanti essi sieno ignoro… ma spero che basteranno. Va… lasciami in pace… e non farmi pi`u cos`i paurosamente aprire le palpebre… le tengo chiuse per insegnare loro a morire”.

…Il Morticino degli Antinori aveva tolto seco un mulo ed un fante, portava in cima alla picca il pennoncello bianco e camminava, lieto cantando, verso il campo imperiale. Antinori, giunto ai piedi della bastite nemiche, vide ad un tratto abbattere meglio di venti archibugi ed accostare le corde fumanti ai foconi; onde, sollevato il pennoncello grid`o:

“Messaggero! – Rispetto al messaggero! Chiamatemi il capitano Giovanni da Sassatello, e ditegli che venga col prigione Perch'e il riscatto `e pronto”.

Il giorno toccava i gradini ultimi del crepuscolo; il cielo si era mantenuto pioviginoso e tinto in grigio: a qualche distanza appena vi si vedeva.

Mostrandosi da’ bastioni fino a mezzo petto, Giovanni da Sassatello domand`o:

“Chi `e che mi vuole?”

“Capitano Giovanni, ho qui meco i mille fiorini, rendetemi il prigioniero”.

Qui apparvero due altre figure dietro al Sassatello; una di quelle era Eustacchio unico suo figlio, l’altra il Frescobaldi; questi pareva stanco o ferito, Perch'e stava abbandonato fra le braccia del figlio del capitano Giovanni, il quale con infinito amore lo soreggeva.

“Di gran cuore, messere Antinori; se non che l’illustrissimo principe ha fatto chiudere di buona ora le porte del bastione e volle la chiave presso di s`i, onde non trovo modo per uscire fuori…”

“Poco importa: fate scendere il prigione gi`u per una scala e poi vi mander`o su per una corda il danaro”.

“Prima il danaro”.

“Prima il prigione”.

“Dio vi mandi la buona notte. Andiamcene, Eustacchio…”

“Capitano, ascoltate… non partite… componiamo; mezzi prima mezzi dopo restituito il prigione”.

“Questi mi paiono compromessi da trecconi: di pi`u nobil sangue e di pi`u gentile intelletto io vi stimava, messere Antinori”.

“Or via, calate la corda, e vi mander`o il danaro…”

“La corda a un punto io caler`o e la scala.”

Cos`i fu fatto: ebbe il Sassatello i fiorini; Eustachio sollevando Lionardo, lo pone su la scala, ve lo adatta, lo lascia. Ah! tracolla gi`u di un colpo ai piedi del bastione.

“Per la santissima Annunziata”, urla il fante dell’Antinori, “messer Lionardo `i morto!”

“Morto! come morto?” ripete forsennato l’Antinori.

“Vi aveva forse promesso rendervelo vivo?” – forte ridendo diceva il Sassatello, – “il patto era renderlo, ed ecco, io l’ho reso; adesso vi dar`o anche la giunta. Eustacchio, fa di non mancare quel gaglioffo fiorentino”.

Balen`o un archibuso; l’Antinori si sent`i tocco dalla palla, ma senza dolore: volle parlare, e non potendo, si morse le mani: una striscia di fuoco gli solc`o la guancia, cotesto fuoco era una lacrima: la ribevve; non una stilla deve sgorgargli della immensa sua rabbia. Propone avventarsi alla scala, salire sui bastioni, inebbriarsi nel sangue del traditore: ma, bersaglio a cento archibusi, sarebbe certamente rimasto ucciso; mentre vuol muovere un passo la terra gli manca sotto, e strammazza. Il fante, posti su le groppe del mulo il cadavere del giovane Frescobaldi e il Morticino ferito, riprese mesto la via di Firenze.

Capitolo Decimosesto

La vendetta

Erano cinquecento fanti: cento archibusieri e gli altri quattrocento in corsaletto armati di partigianoni e di alabarde; ai quali si aggiunse una banda della milizia del gonfalone dell’Unicorno capitanata da Alamanno de’ Pazzi; sopra il corsaletto portavano tutti un camicia bianca per distinguersi dai nemici, motivo per cui questa impresa notturna si chiamava incamiciata.

Quanto pi`u possono chetamente s’inoltrano; divisando Stefano Colonna incominciare l’assalto dall’alloggiamento del colonnello di Sciarra Colonna, contro il quale nudriva nimist`a mortale, si apprestano a salire su pel poggio per a Santa Margherita a Montici. Alcuni pi`u arrisicati e conoscenti del sentiero trascorrono; ecco sono giunti presso al tabernacolo delle cinque vie, dove i nemici tengono due sentinelle perdute.

“Chi viva?” – gridano entrambe.

“Viva la morte!”

Si ode una procella di colpi; un suono di usberghi percossi sul terreno; le parole: Ges`u, abbiate misericordia dell’anima mia! vengono tagliate a mezzo, cos`i ordinando ragione di guerra; quindi un gemito roco, e poi pi`u nulla.

S’inoltrano per la valle che giace tra Rusciano e Giramonte, la passano, gi`a toccano alla coda dell’esercito. Apra l’inferno le sue porte! Ecco improvvisamente danno dentro all’alloggiamento di Sciarra; molti, i pi`u avventurosi, dal sonno si trovano balestrati nell’eternit`a; altri si svegliano per vedere soltanto la spada che penetra loro nelle viscere: sorge un cieco viluppo, un trambusto di gente che fugge o che muore e un gridare: – Accorruomo! – accorruomo! – arme! aiuto! – e minaccie e preghiere, suoni compassionevoli o ferici. Smeraldo da Parma, luogotenente di Sciarra, corre forsennato per radunare le milizie, rincorarle e far testa; cos`i al buio si scontra nel signore Stefano e lo garrisce come neghittoso; questi, accecato dalla brama di sangue, lo scambia con lo Sciarra suo consorto e gli menando un colpo di zagaglia nel petto, “Sciarra”, – gli grida, – “or ti parr`a ch’io sia venuto troppo tosto!” Segue una mischia atroce, i nemici, mentre tentano difendersi, l’un l’altro, confondendosi, percuotono; dove adunarsi non sanno; non risplende lume, per ogni parte li circonda la morte. – Oh Dio! qual desolazione `i mai questa! – potessimo almeno morire da soldati combattendo! – sia tradimento? – tradimento! – tradimento! E lo scompiglio e la strage crescono terribili pi`u, quanto meno veduti. Dove l’affronto mena pi`u tremendo il rumore: la voce del Pieruccio, superando i gridi e le percosse, invoca i lupi e gli avoltoi ad accorrere per satollarsi di carne battezzata.

Dentro una trabacca distesi sopra il medesimo letto dormono due; giovane l’uno, giace nudo avvolto dentro la coltre con un braccio sotto il capo, l’altro penzolone fuori della sponda; il secondo di maggiore et`a, armato di tutto punto, eccetto dell’elmo; a giudicarne dal volto paiono padre e figliuolo. Giovanni da Sassatello turbava in quel punto un mal sogno; gli pareva che una moltitudine di armati circondasse il letto e ve lo tenesse su fermo; lui si sforzava svincolarsi, e non gli riusciva, dava scossoni, raddoppiava i conati, e sempre invano; grondava sudore, agitava le labbra con sordo mormorio.

Il sogno era verit`a, almeno in parte; una mano dei nostri penetra nella trabacca e va difilata alla sua volta per ispaciarlo di vita.

Egli continua nel sogno spaventevole; uno degli armati con man potente gli strappa l’usbergo e gli pone una mano sul cuore; per tutte le membra gli scorre ribrezzo; batte i denti e non pu`o proferire parola. Intanto l’armato si trae la daga dal fianco; poi, come se lo impacciasse la visiera, con la manca la solleva. La coscienza del volto del cavaliere gli presenta la sembianza di Lionardo Frescobaldi da lui ucciso, a tradimento, il quale, comech`i morto, veniva a prendere la sua vendetta.

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