Итальянский с любовью. Осада Флоренции / L'assedio di Firenze
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“Lascia il motteggio, Cencio: papa Clemente accettava il trattato?”
“Pi`u gli aveste domandato, pi`u vi avrebbe promesso; e meno vi manterr`a.”
“E la indulgenza, Cencio, l’assoluzione?....”
“Ahi l’assoluzione.... gi`a anche questa.... e questa, non dubitate, vi manterr`a… non costa nulla…”
Il sole, assai alto, penetrava coi lucidissimi raggi traverso le imposte della stanza del Malatesta, quando uno dei suoi fanti percosse alla porta con molto riguardo. Malatesta, il quale non ben dormiva, ma se ne stava mezzo assorto in cotesto assopimento pi`u assai tormentoso della veglia, perch'e le cause di terrore ti si mescolano confuse senza seguito nel pensiero, di subito domand`o che fosse.
“Magnifico messere, un mazziere della Signoria.”
“Della Signoria! Cencio! o Cencio! odi tu? un mazziere della Signoria....”
“Che ora fa, Malatesta?”
“Un mazziere della Signoria”.
“Buona nuova”.
“Ed io la temo avversa”.
“Avete torto, s’ella fosse avversa, non ve la farebbero notificare per mezzo di mazziere. A gente come siamo noi prima mozzano il capo, fanno poi il processo; animo, su, Malatesta, questa `i una buona nuova”.
“Dio voglia che sia cos`i. Avanti il mazziere”.
Entra il mazziere con grave cerimonia, vestito di scarlatto, con la insegna del cuoune sul mantello, e salutato il Malatesta, gli espose con solennit`a il suo messaggio.
“Strenuissimo e magnifico messere Malatesta, essendo finita la condotta di don Ercole principe di Ferrara, piacque ai signori Dieci, ragunata la Pratica, mandarvi alle fave per subentrargli nell’ufficio di capitano generale della Reppublica. Essendo stato vinto a favore vostro il partito, il magnifico gonfaloniere mi manda a darvene avviso e a pregarvi di stare pronto a riceverne la investitura questa stessa mattina con le consuete solennit`a nella Chiesa di Santa Maria del Fiore”.
“Stamane! appunto stamane! ebbene, andate e riferite ch’io, con le ginocchia della mente chine, ne rendo loro quelle grazie che so e posso maggiori…”
“Addio, messere”.
“Cencio, dov’`e la lettera del papa?”
“Qui sopra la tavola; io l’ho ricoperta con la zimarra di velluto”.
“Tu meriti ch’io ti faccia imbalsamare: porgimela; d’ora in poi non mi uscir`a di dosso”.
E se la ripose insieme colla borsa nella tasca laterale delle larghe brache alla spagnuola. Io pertanto non esporr`o siffatta cerimonia, poich`i se mai, o lettore, ti avvenisse visitare Firenze, andando al palazzo Gaddi ti occorrer`a dipinta in un bel quadro del Rosselli, o del Pomarancio; solo ti dir`o che il gonfaloniere nel consegnare a Malatesta le insegne della sua nuova dignit`a, oltre all’avergli pi`u volte rammentato la morte acerba di suo padre Giampagolo, concluse:
“Piglia dunque, illustrissimo signore, piglia prodissimo campione ed invittissimo general nostro, con fausto auspicio di te e di noi da me gonfaloniere e da questa inclita Signoria in nome di tutto il magnifico popolo fiorentino, questo stendardo quadrato ricamato di gigli, questo elmetto di argento smaltato medesimamente di gigli, arme del comune di Firenze, e questo scettro di abete cos`i rozzo e impulito com’egli `e, in segno, secondo il costume nostra antico, della superiorit`a e maggioranza tua sopra tutte le genti, munizioni e fortezze nostre, ricordandoti che in queste insegne quali tu vedi, `i riposta, insieme con la salute e rovina nostra, la fama e la infamia tua sempiterna”.
Malatesta abbracci`o quasi commosso le insegne, e tra le pieghe dello stendardo nascose la faccia, sulla quale mand`o il pudore il suo ultimo addio. Certamente avrebbe arrossito anche Satana. Poi pieg`o le ginocchia per proferire il giuramento solenne dinanzi all’argenteo altare, dove molti capitani avevano giurato prima di lui, come Raimondo da Cortona, Bernardone delle Serre, il conte di Pitigliano ed altri non pochi, nessuno per`o con animo deliberato, come il Baglione, di tradire la Repubblica. Ora volle fortuna che, mentre lui si china, gli uscissero dalla tasca, dove le aveva riposte, la borsa e la lettera di papa Clemente. Dove siffatta lettera fosse stata spedita in forma di breve, toccava Malatesta l’ultimo istante di vita: fu sua ventura somma che non vi avessero apposto il suggello del pescatore, o segno altro qualunque il quale dichiarasse la sua origine. Dante da Castiglione, che gli stava vicino, raccolse la lettera e la borsa, e tentato Malatesta nel braccio, gli parl`o sommesso:
“Capitano generale, vi `i caduto roba di tasca”.
“Qual roba?”
“Una carta e una borsa”.
“Una carta! Ah! la lettera!” – E tinto del pallore della morte, – “Spero, proseguiva, o messere, che vorrete rispettare il segreto di un foglio capitatovi per questa via nelle mani”.
Cencio, quel suo fedele cos`i corrivo a pungerlo di parole, eragli poi legato per la vita con le opere; senza Cencio, Malatesta non avrebbe impreso tanti avviluppati disegni, o senza fallo vi si smarriva dentro. Cencio poteva chiamarsi l’angelo custode del delitto; ed ora vedendo lo imbarazzo dei suo signore, lo soccorse piegandosi all’orecchie del Castiglione per susurrargli con arcano:
“Egli `e concio fino all’osso di male francese, e pur non si rimane dal mantenere commercio con femmine di ogni maniera”.
“Quando anche”, – risponde il Castiglione al Malatesta toccando con la mano destra la lettera, ve la mandasse papa Clemente, conosco troppo gli uffici di gentiluomo per prevalermi nel caso… Prendete, capitano generale…”
Malatesta stendendovi sopra prontissime le mani, aprendo le labbra ad un sorriso, mentre gli stavano i denti stretti pel freddo della paura, sibil`o in certo modo le parole che seguono:
“E’ sarebbe, messere, bene strana novella che io mi presentassi a giurare fedelt`a co’ patti del tradimento sopra la persona....” Ormai il cuore di Malatesta ha messo il tallo sul delitto; i suoi fati lo tirano.
Intorno alla croce vicino al palazzo sopra la base giace con la faccia stesa a terra un uomo vestito di sacco, cinto di corda traverso i fianchi, nudo le braccia, le gambe, i piedi scalzi; le chiome folte e sordide gli si ripiegano sopra la fronte; le mani tiene giunte in atto di orare: estenuato pi`u che a corpo tuttora vivo si sarebbe creduto possibile; se mai vedeste il san Giovanni dal Donatello condotto in bronzo, avrete idea pi`u completa di questa creatura e a me risparmierete la fatica di meglio efficacemente descriverla. Costui aveva nome Pieruccio. Chi `e Pieruccio? Nessuno sa dire se venisse a Firenze piovuto dal cielo, o se ve lo avesse balestrato la terra, come il vulcano una pietra; quanti anni contasse ignoravano: la sciagura aveva prevenuto l’et`a nella rovina, e il tempo non trov`o ruga da aggiungere o contorno da guastare; le intemperie perdevano forza sopra di lui, le infermit`a non l’offendevano; forse le tribolazioni alle quali va sottoposta la rimanente specie umana volevano rispettare intanto quel santuario di dolore.
I fanciulli quando lo udivano profetare per la via, gli gridavano dietro: Pazzo! pazzo! – e ai gridi aggiungevano sassate e offese d’ogni maniera. Il povero Pieruccio si volgeva e in suono pietoso domandava: Perch'e mi offendete? Ma i fanciulli, tratti da naturale vaghezza a mal fare, ch'e in ci`o mi trovo d’accordo con santo Agostino [16] , non gli attendevano, anzi vieppi`u lo infestavano, sicch`i talvolta, la pazienza mutata in furore, ne afferrava alcuno, la mano alzava a percuoterlo, ma, vinto all’improvviso da tenerezza, lo rimandava baciandolo e benedicendolo. In Gerusalemme per avventura lo avriano adorato, poi forse crocifisso come profeta; a Firenze alcuni lo salutavano santo, pi`u molti lo tenevano matto; chi avesse ragione non saprei, e chi torto nemmeno; forse dipendeva dal punto del quale lo consideravano; certamente amava la patria. Quando gran parte della milizia ebbe passata la croce, ecco ad un tratto lui balza in piedi come tolto fuori di s`i, porge la destra mostrando un teschio umano al popolo ed esclama:
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Aurelio Agostino d’Ippona (354–430) – un filosofo, vescovo e teologo latino, autore delle Confessioni.